Articolo di Maria Maddalena Ferrari e Michele Perillo
Molti animali costruiscono o eleggono un luogo che funga da ricovero, che dia protezione dal pericolo e vantaggio nei confronti dell’aggressore.
Si tratta di un comportamento così diffuso che, per esempio, perfino il toro nello spazio aperto dell’arena della corrida individua un’area preferita, benché priva di particolari protezioni – quella che Hemingway chiamava querencia – nella quale si sente più sicuro e nella quale è più pericoloso per il torero affrontarlo, perché è restio ad abbandonarla e tenta di combattere “da fermo” e non a lanciarsi nelle prevedibili cariche scriteriate che il matador è così bravo ad eludere.
La tana, il covile o nido che sia sono il rifugio entro i cui confini – che infondono sicurezza e materializzano il diritto di proprietà – la paura si trasforma in ostilità e, se occorre, in aggressività nei confronti della minaccia. Anche per l’uomo, la casa svolge questa funzione di conferire senso di protezione e di rafforzamento del diritto di possesso: si pensi alla reazione emotiva di fronte all’intrusione o peggio al furto, più forte se avvengono tra le pareti domestiche, che a volte si traduce in reazioni di violenza insolita in altre situazioni. Di fronte ad un ambiente ostile o percepito come insicuro, la casa offre la percezione di rassicurante esclusione della realtà esterna alla quale può diventare difficile rinunciare. è questo il caso di quella che viene chiamata “sindrome della capanna”, che oggi colpisce alcuni dei “sequestrati” dalla quarantena per la pandemia di coronavirus, che sono restii ad abbandonare la tiepida tranquillità dell’isolamento (magari assistito da congiunti e organizzazioni che si fanno carico delle incombenze e che esimono dall’indispensabilità di uscire) e si rifiutano di affrontare l’incombente nemico invisibile e abbandonare l’insieme di abitudini alle quali si erano assuefatti.
Porre rimedio a questa tendenza, che oltre ai problemi pratici può produrre in qualche caso depressione, ipocondria, disordini alimentari, abuso di sostanze, fobie e altri disagi psicologici, sarà compito delicato per i familiari e potrà anche richiedere l’aiuto dello psicoterapeuta per far recuperare fiducia, coraggio, curiosità per il mondo esterno, iniziativa e autosufficienza. Come sempre, l’aria aperta e l’ambiente naturale saranno validi alleati. Uno strumento molto efficace, a questo proposito è L’Outdoor Therapy®: la fusione tra psicoterapia e attività all’aria aperta, in contesti naturali, capace di unire i benefici della terapia con un professionista della mente a quelli apportati dal contatto diretto con l’ambiente naturale affidandosi alle competenze di esperte guide ambientalistiche certificate.
1 Hemingway, Ernest, Morte nel pomeriggio, Oscar Mondadori, 1998, Milano
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