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Elaborazione del lutto e Covid19

Tutte le culture umane hanno adottato e praticano qualche forma di commiato ai consimili morti e varie forme di culto tendono a rinviare e prolungare l’addio, nella convinzione di mantenere qualche forma di contatto con il defunto o addirittura nella speranza di poterlo ritrovare vivo in un’altra dimensione.
Anche molti animali, come i delfini e le scimmie, ma non solo loro (“anche gli elefanti piangono”, scrive l’etologo Wan de Waals), mantengono il contatto col conspecifico ferito, malato o morto, difendendolo dai predatori, tentando di nutrirlo e stimolandolo ad una, anche quando impossibile, ripresa. Anche per loro, si tratta di comportamenti consolidati con l’evoluzione, grazie al loro valore protettivo, poiché qualche individuo svantaggiato può riuscire ugualmente a salvarsi con l’aiuto dei congiunti e i predatori vengono dissuasi dall’uso di predare queste scomode specie sociali.

La solitudine

I membri delle specie animali possono vivere solitari (magari eccetto che per il breve periodo della riproduzione, come gli orsi o le tigri) oppure aggregarsi in comunità più o meno numerose e più o meno organizzate. Gli animali solitari hanno meno concorrenti tra i conspecifici, ma le specie sociali godono di altri vantaggi come la protezione reciproca e una maggior efficacia predatoria, sviluppano inoltre una maggiore intelligenza necessaria per gestire la complessità dei rapporti sociali (coordinamento/cooperazione, sistema di riconoscimento individuale, linguaggi). In cambio, perdono però indipendenza e autosufficienza e sviluppano un senso di appartenenza che diventa bisogno della vicinanza e delle interazioni con i membri del branco e i consimili

La Psicoterapia è un’affascinante avventura

Cercare l’avventura è strumento che si è sviluppato e impresso per via evolutiva nella nostra specie (e in quella di diversi animali) per spingerci ad affrontare deliberatamente l’incognito e l’imprevisto anche rischioso. Si tratta certamente di uno dei principali motori dell’espansione e del successo/progresso dell’umanità. Gli individui ne hanno “sete”, come si suol dire, spinti da curiosità e gusto per la novità, brama di risorse o desiderio di elevare il proprio status (elevare rango, anche ai fini del successo riproduttivo) dimostrando forza, ricchezza, abilità o coraggio. L’avventura per antonomasia è quella ad alto rischio, come tipicamente le romanzesche esplorazioni di terre ignote e territori potenzialmente ostili del passato, oppure oggi di luoghi inospitali come lo spazio.

Un “simpatico” terapeuta

Abbiamo meccanismi protettivi innati che ci aiutano a sopravvivere in situazioni pericolose. Gli apparati sensoriali vista, udito, olfatto, tatto, dolore, ecc. comunicano rapidissimamente al cervello le percezioni o addirittura provocano direttamente, per riflesso, il provvedimento adatto (come il battito degli occhi, lo scostamento rapido della mano da qualcosa che scotta o lo spontaneo gesto di ritorno alla posizione fetale se colpiti da forte rumore improvviso). Il nervo vago ci fa immobilizzare di fronte al pericolo, come accade ad altri animali, per non essere individuati (il movimento è rilevato dalla vista e dall’udito di molti animali – noi compresi – e ne attira l’attenzione) o per sembrare morti. La teoria polivagale del dott. Stephen Porges individua due circuiti funzionali del nervo vago, il “complesso vagale dorsale” (DVC) più antico, che provoca tra l’altro appunto l’immobilizzazione difensiva, e un secondo sistema evolutosi più recentemente, il “complesso vagale ventrale” (VVC), detto anche “sistema nervoso sociale”, che ci spinge ad associarci agli altri per cercare comunicazione e sicurezza.

Una delle eredità del CoronaVirus: il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).

Per fronteggiare la diffusione del Covid-19, in tutto il pianeta si stabiliscono obblighi di quarantena e si impongono drastiche regole di distanziamento sociale. Il mondo va in rete e pratica il telelavoro e la teledidattica. I banchi delle chiese sono vuoti la domenica, come i parchi, i campi sportivi, i ristoranti e le stazioni dei treni. I soggetti contagiati o a grave rischio vengono ricoverati nei reparti infettivi degli ospedali o posti in quarantena. Il distanziamento sociale è il provvedimento più efficace per rallentare la diffusione, ridurre i numeri dei contagiati e vincere alla fine la guerra al virus. Benché la separazione fisica sia necessaria, ci possono essere ripercussioni per chi viene isolato (specialmente se è affetto dalla malattia e ne prova i sintomi e le paure), per chi subisce la separazione dai figli, parenti e partner, o lutti inattesi senza possibilità di assistenza e di commiato, della percezione di pericolo, dell’incertezza, del disagio fisico, degli effetti collaterali delle medicazioni/cure, della paura di trasmettere il virus ad altri, dell’assillante pressione negativa dei media, i pazienti infettati possono provare solitudine o tensioni per forzata convivenza, rabbia, ansia, depressione, insonnia, pensieri suicidi e presentare i sintomi di stress post traumatico.